Festa della Repubblica: 3 poesie d’autore dedicate all’Italia

L’amor di patria è un vivo affetto nei confronti della patria, un profondo attaccamento alla propria terra, un sentimento che porta ad agire per la soddisfazione di sè stessi e della propria nazione.

Da sempre il tema della Patria ha infiammato gli animi di poeti e scrittori. In occasione della Festa della Repubblica, che si celebra oggi, il 2 giugno, abbiamo raccolto tre poesie famose dedicate all’Italia.

Giuseppe Ungaretti, Italia

Penultima di Porto sepolto, insieme a Poesia (poi Commiato) questa lirica fa da chiusura alla raccolta, in dichiarata simmetria con le proemiali Porto sepolto In memoria. Qui l’apolide poeta-soldato ne diventa finalmente parte, confondendosi, mercé l’uniforme mimetica, nella moltitudine di italiani al fronte: facendosi “grido unanime”.

Sono un poeta / un grido unanime / sono un grumo di sogni. / Sono un frutto / d’innumerevoli contrasti d’innesti / maturato in una serra. / Ma il tuo popolo è portato / dalla stessa terra / che mi porta / Italia. / E in questa uniforme / di tuo soldato / mi riposo / come fosse la culla / di mio padre

Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969.

Francesco Petrarca, Italia mia

Composta probabilmente nell’inverno 1344-45 a Parma, durante la guerra tra Obizzo d’Este e i Gonzaga di Mantova, la canzone è un accorato lamento sulla frammentazione politica dell’Italia del Trecento, divisa in piccoli stati regionali perennemente in guerra tra loro, e sulla mancanza di pace che insanguinava la Penisola a causa dei continui scontri tra i signori (specie quelli del nord Italia) per le loro contese territoriali.

Il testo è uno dei pochi componimenti petrarcheschi di argomento politico e da un lato si collega alla grande tradizione lirica del Duecento, soprattutto Guittone d’Arezzo e Dante, dall’altro affronta alcune problematiche emerse ai tempi dell’autore tra cui, per esempio, l’uso di mercenari stranieri da parte dei signori italiani, fatto che Petrarca deplora e che un secolo e mezzo dopo verrà aspramente criticato anche da scrittori del Rinascimento come Machiavelli. Ecco uno stralcio del componimento:

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali
spera ’l Tevero et l’Arno,
e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion’ che crudel guerra;
e i cor’, che ’ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;
ivi fa che ’l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.

F. Petrarca, Italia mia, Canzoniere 128.

Giacomo Leopardi, All’Italia

La stesura di All’Italia di Leopardi risale al settembre del 1818, poco dopo la visita a Recanatidi Pietro Giordani, col quale il giovane Leopardi aveva iniziato una corrispondenza epistolare dall’anno precedente. Pubblicata per la prima volta all’inizio del 1819 a Roma, assieme alla canzone Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze, avrebbe aperto le Canzoni del 1824 e le edizioni dei Canti.      

La forma metrica di All’Italia è quella della canzone tradizionale segnata, però, da alcuni trattifortemente innovativi: le strofe sono di lunghezza eccezionale (sette, composte di venti versi ciascuna) e non presentano distinzione tra fronte e sirma; le strofe pari dispongono le rime in un ordine diverso da quello nel quale sono disposte nelle strofe dispari

O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l’erme / Torri degli avi nostri,Ma la la gloria non vedo, / Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchiI nostri padri antichi. / Or fatta inerme / Nuda la fronte e nudo il petto mostri, / Oimè quante ferite, / Che lívidor, che sangue! oh qual ti veggio, / Formesissima donna!

G. Leopardi, Canti.

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